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						"A" ....come alpinismo e 
						come arrampicata 
						
						Brevi ed incomplete note storiche sulla arrampicata 
						spoletina.   
							
							 
							Oggi va di moda il Free 
							Climbing (arrampicata libera) sulle pareti 
							verticali, spesso strapiombanti, dove le difficoltà 
							sono sempre molto elevate e solo chi si allena 
							sistematicamente può provare a passare. Queste pareti però non si 
							trovano quasi mai in alta montagna ma bensì nelle 
							valli spesso vicino a strade e a paesi ( Ferentillo, 
							Pale ) ci si arriva comodamente a qualsiasi ora del 
							giorno, con qualsiasi tempo. Le vie di arrampicata sono 
							protette con spit ( specie di “stoppers” conficcati 
							nella roccia con il trapano) che rendono la 
							progressione in parete sicura e priva di seri rischi 
							per l’incolumità degli scalatori. Questo modo di frequentare le 
							pareti, che oggi è fine a se stesso, non è una 
							novità, le “palestre di arrampicata” esistevano già 
							molti anni fa ma servivano per prepararsi alle 
							salite sulle grandi montagne, dove nulla era 
							preparato e spesso si era i primi a passare. Parliamo dell’inizio degli 
							anni settanta, a Spoleto l’arrampicata, quella in 
							alta montagna, era una attività pressoché 
							sconosciuta, solo alcuni giovani del Gruppo 
							Speleologico Spoletino, tre o quattro persone in 
							tutto, si erano avventurati sulle pareti e sui 
							canali dei Monti Sibillini, spesso con attrezzature 
							inadeguate ed artigianali.  
							Il loro entusiasmo riuscì 
							comunque ad “infettare” anche alcuni soci della 
							neonata sezione CAI di Spoleto e un socio, più 
							deciso degli altri, pensò bene di andare sulle 
							Dolomiti per informarsi e formarsi sulle tecniche e 
							le attrezzature necessarie per affrontare le pareti 
							con adeguati margini di sicurezza. Al termine di questa 
							esperienza Mauro ( per la cronaca questo è il nome 
							del socio) tornò in 
							Sezione con tanto di qualifica di “ Istruttore di 
							Alpinismo” e così partirono i primi corsi di 
							alpinismo sezionali. I primi anni sono stati 
							un’avventura, non avevamo esperienza, non 
							conoscevamo le montagne, non conoscevamo le vie, ci 
							mancava qualcuno a cui chiedere consiglio su dove 
							andare, quando andare, nonostante tutto piano, 
							piano, anno dopo anno il nostro terreno di 
							“avventura” si allargò dai Sibillini al Gran Sasso, 
							alle Alpi e poi e poi…. ma queste sono altre storie 
							che racconteremo in seguito. 
							
							
							1 – 1973 primi passi
							 
							Per 
							cominciare ci allenavamo su alcune roccette in 
							prossimità di Monte Fionchi, niente di particolare, 
							otto dieci metri di altezza, una paretina 
							appoggiata, un “diedro aperto”, un piccolo “camino” 
							, erano difficoltà classiche: terzo, quarto, quarto 
							+. Per provare le discese in 
							corda doppia andavamo al Giro dei Condotti, le 
							manovre erano quelle classiche del metodo Piaz con 
							la corda che passava in mezzo alle gambe e poi 
							girava intorno al busto generando un attrito 
							pauroso. Si arrampicava con gli 
							scarponi pesanti a suola rigida e la tecnica 
							dell’aderenza non era praticabile, i piedi non 
							avevano la sensibilità necessaria per sentire gli 
							appoggi , occorreva portare il peso del corpo sulla 
							punta dello scarpone che, così sollecitato, poteva 
							far presa anche su piccoli appoggi. D’inverno i Sibillini sono 
							montagne severe, spesso imprevedibili e quindi 
							pericolose, passando vicino alla croce messa in 
							memoria di Zilioli, alpinista ascolano deceduto per 
							sfinimento dopo aver portato a termine la prima 
							salita invernale del “Canalino” di Pretare, il 
							nostro desiderio di affrontare i grandi dirupi del 
							Vettore nella stagione più fredda veniva messo in 
							seria difficoltà. 
							L’attrezzatura tecnica di base 
							c’era: avevamo fatto numerosi viaggi a Roma da “ 
							Montanucci sport “per dotarci di piccozza, ramponi, 
							ghette, guanti ecc. ma quello che mancava erano le 
							nozioni base per l’uso di tali aggeggi. A venti anni 
							per fermaci però non era sufficiente il buon senso e 
							così le nozioni base le abbiamo imparate 
							direttamente in parete pagando con rischi che a 
							distanza di tanti anni ci sembrano e sono pazzeschi. Così abbiamo salito il 
							famigerato “Canalino di Pretare” in inverno, il 
							“Grande Imbuto” , la “Cresta del Galluccio”, la 
							diretta allo “Scoglio dell’Aquila” ecc. 
							
							Nell’estate del 1979 ci siamo trovati per la prima 
							volta davanti al Monte Bianco e intimoriti, 
							imbranati ed impacciati da tanta grandiosità abbiamo 
							girato tra i sui ghiacciai subendo i rimproveri di 
							Lino Fornelli, gestore del rifugio Monte Bianco in 
							Val Veny, per il CAI di Spoleto era la prima vera 
							Settimana Verde. 
						SERGIO MATURI |